19 Ottobre 2016
LA GUERRA DEL PECORINO

“Intanto aspettiamo che il ministero delle politiche agricole riconosca la nuova dop cacio romano, ma sia chiaro che noi mai rinunceremo al marchio pecorino perché è nostro per nascita”. David Granieri, presidente della Coldiretti del Lazio, rompe gli indugi e apre la battaglia sindacale per restituire dignità e reddito ai produttori laziali della filiera del pregiato formaggio comprato in tutto il mondo. Lo fa da Viterbo dove incontra prima i trasformatori, poi gli allevatori e i produttori di latte ovino di tutta la regione – in particolare da Roma, Viterbo e Rieti. La strategia, pianificata per contrastare l’anomalo operato del Consorzio di tutela (sul quale l’Antitrust intanto ha aperto un’indagine) punta su due fronti: ottenere la nuova dop e garantire alle aziende romane che dovessero restare nel Consorzio del pecorino una differenziazione tale da garantire l’adeguata valorizzazione anche del loro prodotto. Il casus belli che ha spinto la Coldiretti del Lazio alla politica separatista dalla Sardegna è stato il sequestro, presso un caseificio della Capitale, di formaggio etichettato con l’aggettivo romano che, secondo il Consorzio di tutela del pecorino, danneggerebbe il prodotto dop. “Un sequestro inaccettabile – ha spiegato l’assessore regionale all’agricoltura Carlo Hausmann, anche lui a Viterbo – intanto perché stiamo parlando di marchi storici e poi perché noi, prima di altri, dobbiamo poter utilizzare liberamente un’indicazione geografica che è nostra. Auspico azioni – ha concluso l’assessore – per limitare nella filiera del pecorino le sperequazioni ai danni delle aziende romane”. Il sistema del latte ovino laziale è composto da 3.000 allevamenti specializzati con una consistenza di 750.000 capi e 359 imprese di trasformazione, 3 delle quali accreditate a produrre pecorino dop. Il Lazio, in sostanza, vale appena il 3% della filiera. È la Sardegna a controllare la totalità (97%) dell’economia legata alla produzione e vendita del pecorino romano. “Dobbiamo differenziare i due prodotti sul mercato, solo così è possibile tutelare la filiera sarda e valorizzare quella romana. Questa – avverte Aldo Mattia, direttore della Coldiretti del Lazio – è una battaglia che va combattuta e chiusa in quindici giorni”.  A coordinare i lavori delle due assemblee è stato Mauro Pacifici, presidente della Coldiretti di Viterbo. “Al primo incontro c’erano quindici imprenditori, titolari delle più importanti aziende laziali della trasformazione. Al secondo erano presenti oltre cento pastori. Il successo di partecipazione alle due assemblee – ha commentato Pacifici – è il segno tangibile della grande attenzione verso la problematica e la conferma che i tempi sono maturi per giocare, questa volta fino in fondo, una partita che dovrà cambiare le sorti dell’economia locale legata alla produzione e trasformazione del nostro formaggio”.  “Il recente sequestro di cacio romano – ha concluso Granieri – ha avuto il merito di ricompattare la filiera laziale, dai pastori fino ai trasformatori. Entrambe le categorie condividono la nostra iniziativa. Inoltre, rivendicare la distintività del nostro prodotto rispetto a quello sardo è doveroso se non altro perché la piazza italiana di maggiore consumo di pecorino è proprio Roma, con vendite annue che superano i 60.000 quintali di formaggio”.

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